Con un poco di zucchero la pillola va giù: il post-Silicon Valley di Gherardo Carullo
Di fronte alla potenza di fuoco delle “start up” americane, è facile sentirsi molto piccoli: nella Silicon il primo seed è difficilmente inferiore ai 300.000 dollari, con round successivi che diventano presto multi milionari. Pensare di ragionare in Italia secondo tali numeri è – salvo rare eccezioni – un’utopia.
D’altro canto il sistema della Valley è tutt’altro che perfetto. Le criticità che gli stessi americani non si esimono dal sottolineare sono molteplici. Basti pensare che, salvo rare eccezioni, i Venture Capitalists non riescono a far fruttare i loro investimenti quanto necessario per ripagare i fondi di investimento a cui rispondono. Da qui la sfrenata corsa alle IPO multi miliardarie, con il rischio però di alimentare una bolla che potrebbe essere prossima al collasso.
Ma non si tratta solo di soldi. Nel addentrarci nell’ecosistema della Valley abbiamo scoperto anche una profonda differenza circa le modalità con cui ci si interfaccia e ci si rapporta con gli altri. Differenza che ben può essere rappresentata con un’inusuale metafora.
Domenica, esattamente a metà della nostra esperienza, abbiamo deciso di fare un barbecue american style.
Siamo andati ad un supermercato della zona ed abbiamo fatto il pieno di carne.
Nulla di strano fin qui, se non che nel banco del frigo, tra i pacchi di bacon, notiamo una particolare qualità “Sugar free” il che ci ricorda che negli USA viene aggiunto zucchero a quasi tutti i cibi, compresa l’insalata.
Così come il bacon dolcificato, nella Silicon Valley anche i rapporti umani appaiono spesso artificialmente addolciti. Sin dalla prima lezione ci avevano avvertito che nella Bay Area si cerca sempre di evitare lo scontro diretto.
Ad esempio, se si pensa che il progetto di qualcuno faccia pena, gli si dice “good job”, in modo da evitare di ferire i sentimenti altrui.
Ma così facendo chi riceve il feedback perde la possibilità di poter accogliere critiche costruttive.
Il confronto, invece, è proprio quello che non è mai mancato tra noi startupper emiliano romagnoli di questa quarta edizione del Mindset. Più volte abbiamo cercato e promosso il confronto reciproco, costruttivo e volto ad arricchirci a vicenda, consapevoli che dallo scambio di idee può derivare valore. È quanto abbiamo fatto, ad esempio, nelle lunghe sere in cui abbiamo presentato tra di noi i nostri pitch, per prepararci all’evento finale.
A riprova che tali scontri siano stati sempre volti alla reciproca crescita vi è il fatto che in appena due settimane, da sconosciuti che eravamo, siamo tornati come amici. Si capisce qui il valore delle persone selezionate da Aster. Persone in grado di confrontarsi e scambiarsi opinioni, anche con quel confronto diretto che a San Francisco si tende ad evitare, senza malumori o risentimenti, ma con vero spirito di collaborazione e crescita reciproca.
La capacità di fare squadra.
Dagli americani dobbiamo quindi senz’altro imparare ad essere ambiziosi, puntando in grande e seguendo il loro motto “go big, or go home”.
Ma d’altro canto, in mancanza delle loro risorse finanziarie stratosferiche, dove 500.000 dollari sono considerati come peanuts, proprio la nostra capacità di fare squadra può fare la differenza.
E chissà che, con un po’ di fortuna, ambizione e capacità di lavorare insieme, non si riesca a creare un nuovo centro di eccellenza imprenditoriale tra le numerose iniziative che il nostro Paese e, soprattutto, l’Emilia Romagna, vantano nel mondo.